Everest è il film che ha aperto la 72° edizione del Festival di Venezia ed ammetto di aver fatto il grosso errore di non informarmi prima di cosa trattava il film affidandomi unicamente ad una frettolosa visione del trailer che nonostante metta in evidenza l’arrivo di una tempesta sembra lasciar trapelare con alcune scene e frasi dette una certa “tranquillità” sull’evolversi degli eventi.
E invece, no.
Everest, non è altro che il racconto di una storia realmente accaduta e già vista più volte in TV e al cinema che per la precisione narra le vicende della seconda più grossa tragedia avvenuta sul monte Everest nel 1996 quando persero la vita 8 persone a causa di una improvvisa tempesta che ha travolto gli scalatori mentre scendevano dalla vetta.
Vedere il film senza saperlo vuol dire vivere colmo di speranza quando hai il Tristo Mietitore alle spalle.
Il film è gradevole ma penso sia troppo difficile fornire allo spettatore un’idea veritiera di quelle che possono essere le reali condizioni del monte Everest tanto con il bel tempo quanto con una tempesta in arrivo.
Inoltre poco si vede onestamente dei momenti della scalata, lasciando molto spazio invece ai dialoghi dei vari campi base che lasciano il tempo che trovano e quindi dedicano molto tempo al periodo di acclimatazione all’alta quota ma nonostante questo non riesce nell’intento di proporre un’avventura epica e nemmeno ad affezionare lo spettatore agli scalatori protagonisti che vengono eccessivamente stereotipati (vedi il postino ed il texano bisognoso di avventura), mettendo più in risalto il protagonista Rob Hall (Jason Clarke) e quasi in cattiva luce il suo collega Scott Fischer (Jake Gyllenhaal) il quale viene dipinto come un alpinista tanto esperto quanto incosciente dei rischi legati al monte Everest.
Trattandosi di una storia vera, e più precisamente di una tragedia, non mancano i pareri contrastanti in merito ai quali sono state spese pagine e pagine di libri. Nel film però non si prende in maniera netta le parti di uno o dell’altro come non si entra con forza nel tema dello sfruttamento del turismo legato all’alpinismo sull’Everest che pur viene presentato e ricordato più volte per la preoccupazione di riuscire a portare in vetta qualcuno ma senza risultare eccessivamente critici in merito al fatto che quel giorno vi fossero un numero di spedizioni spropositato che cercavano di risalire.
Ed è proprio anche questa mancanza di presa di posizione che a mio avviso appiattisce il film, non da corpo e tanto meno anima ad una vicenda che di corpi e anime invece ne ha dati fin troppi.