Nella pubblica amministrazione a partire dal 2022 si potrà avere solo PC con componenti e software cinesi
La guerra è ormai iniziata, è inutile girarci intorno, e sebbene non preveda armi le conseguenze in termini economici saranno ugualmente importanti.
Dopo i guai USA-Huawei ed il conseguente irrigidimento dei dazi d’importazione per i prodotti cinesi arriva la contro mossa da Pechino la quale ha introdotto un divieto, valido almeno per il momento solo per la pubblica amministrazione, che impone il ban di computer che includano componentistica o software non cinesi.
Niente Windows, niente Office ma soprattutto anche niente Intel o AMD tanto per citare i principali produttori coinvolti.
La Cina a livello amministrativo può contare su un grande produttore di PC, Lenovo, e se è vero che dal punto di vista prettamente hardware non ci saranno grossi problemi a trovare possibili varianti è anche vero però che anche in Cina una buona parte delle postazioni utilizza Windows ed è quindi difficile ipotizzare un passaggio indolore per chi li utilizza e che molto probabilmente dovrà iniziare ad interagire con una distribuzione su misura di Linux.
Stiamo parlando di un mercato vastissimo, si stima infatti che siano circa 20 milioni i computer utilizzati dalla pubblica amministrazione cinese per i quali ne è già stata pianificata la sostituzione: il 30% verrà sostituito entro la fine del 2020, un altro 50% entro la fine del 2021 per terminare con i rimanenti che verranno posticipati a fine 2022.
Scacco.
Ora la mossa tocca agli USA.